"Ispirato dallo Stato Islamico"

02.01.2025

C'è qualcosa di profondamente malato nella nostra civiltà. Qualcosa di putrido, di decadente, che non ci permette più di guardare in faccia la realtà, di riconoscere il nemico e affrontarlo per ciò che è. 

" Le parole sono importanti", recita la celebre battuta di Nanni Moretti.

Questa mattina leggendo The New York Times a proposito dell'attentato di New Orleans avvenuto a fine anno 2024 (se sei un loro abbonato trovi qui l'articolo), un aggettivo mi colpisce in particolar modo.

Riporto di seguito un estratto: President Biden, in a short address at Camp David, said that the F.B.I. told him that the driver had posted videos on social media "mere hours" before the attack "indicating that he was inspired" by the Islamic State. Il presidente Biden, in un breve discorso a Camp David, ha detto che l'FBI gli ha riferito che l'autista aveva postato un video sui social media "poche ore" prima dell'attacco "indicando che era ispirato" dallo Stato Islamico.

"Ispirato", che parola elegante, neutrale, quasi romantica. Come se il terrore fosse un'opera d'arte, un'idea nobile che accende la mente degli uomini.

Dal vocabolario Treccani: ispirato(ant. o letter. inspirato) agg. [part. pass. di ispirare]. – Che è opera d'ispirazione: libri i., quelli delle Sacre Scritture. Riferito a persona, si dice soprattutto di chi nel creare un'opera d'arte, nello scrivere, nel parlare, ha l'animo come acceso di una luce e di un fuoco soprannaturale che eccita ed esalta la sua fantasia: un poeta, un pittore, un oratore i.; avere la mente i.; essere, sentirsi ispirato; anche dell'opera o delle parole che sono improntate da tale fervore fantastico: poesia, versi i., musica i.; tenne un discorso i.; e per indicare il modo con cui si rivela esternamente l'estasi e l'entusiasmo interiore: dipingeva, suonava con il volto i.; parlò con accento i.; avere l'occhio ispirato.

C'è una sottigliezza insidiosa nel modo in cui il fanatismo si appropria del linguaggio per giustificare atti di violenza. Usare un termine come "ispirato", volutamente o meno, significa permettere a queste ideologie di rivestirsi di una falsa dignità. Il problema non è solo lessicale: è culturale, sociale, persino filosofico.

Le parole hanno il potere di costruire mondi. Quando un terrorista si definisce "ispirato", non sta solo cercando di giustificare il proprio atto, ma sta costruendo una narrazione nella quale il male diventa qualcosa di nobile, di giusto, persino di inevitabile. Questa narrazione, amplificata dai social media e a volte trascritta nei discorsi ufficiali, è ciò che rende il fanatismo così pericoloso: non è solo la violenza, ma l'idea che ci sia un significato più alto dietro di essa.

Ecco il punto: possiamo permettere che il linguaggio diventi il veicolo di questa estetizzazione del terrore? Possiamo davvero accettare che termini come "ispirazione" – parole che evocano poesia, arte, creazione – vengano utilizzati per descrivere un atto di pura distruzione?

La responsabilità è nostra, collettiva. Non si tratta solo di media o di politici: si tratta di noi, di come interpretiamo e accettiamo queste narrazioni. Dobbiamo sviluppare una vigilanza critica, imparare a riconoscere il linguaggio che disarma la nostra capacità di giudicare, che attenua la nostra capacità di provare indignazione.

Il fanatismo non è solo un problema di ideologia: è un problema di estetica. È un problema di parole.

Ma la verità, quella vera, è che chiamare un terrorista "ispirato" è come chiamare la peste un'opera divina.

È un insulto alla nostra intelligenza, alla memoria delle vittime, alla dignità umana. L'ispirazione è il soffio dell'arte, della scienza, dell'amore. Non ha nulla a che vedere con chi schiaccia un acceleratore per trasformare una festa in un cimitero. Nulla.

Ed è questo che dobbiamo capire: il male non ha bisogno di aggettivi eleganti. Ha bisogno di essere chiamato per ciò che è, con le sue parole brutte, sporche, terribili. Non "ispirato," ma indottrinato. Non un poeta, ma un assassino. Non una mente accesa, ma una coscienza spenta.

Svegliamoci. Guardiamo in faccia questa realtà marcia e decadente che abbiamo costruito. Una realtà in cui un uomo può postare un video pieno di odio e trovarci una platea. In cui le sue parole – le sue parole! – trovano spazio, eco, risonanza. Una realtà dove chi uccide trova sempre qualcuno disposto a concedergli una definizione elegante, come se il crimine fosse un dipinto e non una macchia di sangue sul pavimento.

Le parole sono importanti, sì, perché con le parole possiamo cambiare il corso della storia. Possiamo smascherare il fanatismo, distruggere le sue menzogne, riportare il mondo alla verità. Ma per farlo, serve coraggio. Serve il coraggio di dire le cose come stanno, senza paura di offendere, senza timore di sembrare brutali. Perché il male non si combatte con i guanti di velluto. Si combatte con la forza della verità. E la verità, lasciatemelo dire, non ha mai avuto bisogno di belle parole.

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