"La guerra dei clan"

13.01.2025

Il tuo clan ti protegge, ti approva, ti dà un'identità. 

Ti fa sentire parte di qualcosa, ti abbraccia quando segui le regole. Ma guai a tradire. Devi essere fedele, un soldato obbediente. Ripeti il mantra del gruppo, senza esitazioni. Dubbi? Non sono ammessi. Critiche? Non pensarci nemmeno.

Prova a esprimere perplessità su certi modelli di integrazione culturale che non funzionano, critica alcune norme religiose che mortificano la libertà individuale. Ti bruciano subito sul rogo dell'eresia. Come osi? Quelle critiche appartengono al "nemico", non a noi. Sei un traditore, un cavallo di Tro_a. 

Non sei più uno di noi.

Ma attenzione: se cambi clan il copione resta lo stesso. Se osi dire che il cambiamento climatico è una realtà e che bisogna fare qualcosa subito, ti accusano di essere un servo del politicamente corretto. Parli di uguaglianza di genere, di diritti civili, di lotta alle disuguaglianze? Benvenuto nell'inferno del "radical chic". Ogni parola fuori posto e vieni espulso, perché qui non si perdona niente. O sei dei nostri, o sei dei loro.

Nel sistema dei clan non puoi stare al centro. Non puoi dire: "Su questo punto avete ragione, ma su quest'altro no." No, il non allineamento è visto come debolezza, e la debolezza come un tradimento. E allora impari a startene zitto. Non perché non hai nulla da dire, ma perché hai paura. Paura del linciaggio, della gogna pubblica, del dito puntato.

Una guerra vera, la guerra della polarizzazione.

E se vi sentite in guerra, non è un'illusione. Non state sbagliando: siamo in guerra. Una guerra sporca, subdola, dove non si spara, ma si combatte. Ognuno con le proprie armi, ognuno nel proprio esercito. 

Ci sentiamo reclutati, ci sentiamo in fondo dei giusti, perché non abbiamo scelto l'indifferenza.

Sappiamo di essere in una sporca e maledetta guerra, e c'è una voce, profonda e insidiosa, che ci sussurra: "Attenzione, ci stiamo massacrando." Ma decidiamo di ignorarla, perché in guerra o si vince o si muore. 

Non c'è spazio per il compromesso.

È triste sapere che esisterebbero altre regole del gioco, più umane, più sane. Ma in questa fase tutti gli schemi sono saltati. Siamo parte di un ingranaggio, e non c'è modo di fermarlo.

I nemici invisibili

Ci ritroviamo iscritti in vere e proprie liste di proscrizione nei social, bollati dai nostri "nemici" virtuali. Nemici di cui non conosciamo nulla, nemmeno il volto. Eppure, magari, li incontriamo ogni giorno. Magari ci scambiamo un sorriso alla fermata dell'autobus, ci servono il caffè al bar, o ci capita di parlarci delle solite banalità in ascensore.

Non vediamo il coltello tra i denti, le loro armi affilate. E forse nemmeno loro vedono le nostre. 

Perché ognuno, nella propria apparente sobrietà, ha già scelto il suo clan d'appartenenza. Ha già scelto da che parte stare, cosa difendere e chi combattere.

Dopo il tritacarne

Forse ne usciremo. Ma ne usciremo come si esce da un tritacarne, smembrati, senza più forze. Ne usciremo quando la guerra sarà finita, e forse allora ci chiederemo se ne sia valsa la pena. Quando tutto sarà polvere, scopriremo se eravamo davvero dalla parte giusta.

Ma nel frattempo, restiamo soldati. Non c'è tempo per pensare, per capire. E se qualcuno si ferma, anche solo per un istante, rischia di essere travolto.

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