No, non sono ebrea, ma celebro Hanukkah

02.01.2025

Ci sono gesti che non hanno bisogno di spiegazioni, e poi ce ne sono altri che richiedono una riflessione, non tanto per gli altri, ma per sé stessi. Quando ho deciso di celebrare Hanukkah quest'anno, ho saputo fin da subito che sarebbe stato uno di quei gesti da spiegare, da argomentare, forse persino da difendere. Non perché sia controverso – non c'è nulla di controverso nell'accendere una candela – ma perché viviamo in un tempo in cui anche i simboli più semplici rischiano di essere fraintesi.

Non sono ebrea. Non sono cresciuta in una casa con una menorah sul tavolo o con il suono delle preghiere ebraiche nelle orecchie. Ma c'è qualcosa nella storia e nella cultura ebraica che mi ha sempre affascinata, forse per la sua capacità di essere insieme universale e profondamente radicata.

Viviamo in un momento storico in cui l'antisemitismo – mai scomparso, mai davvero sconfitto – si è travestito con nuovi volti. Lo chiamano "antisionismo", ma spesso non è altro che l'odio antico di sempre, mascherato da ideologia politica. L'antisemitismo si insinua nelle piazze, nelle università, nei media, negli slogan che inneggiano alla distruzione di Israele. E questo mi spaventa. Mi spaventa perché la storia ha già mostrato cosa accade quando si lasciano attecchire i semi dell'odio verso gli ebrei.

Celebrare Hanukkah è una scelta di campo

Non è un gesto religioso, non è un atto di conversione. È un gesto simbolico, una scelta di campo. Celebro Hanukkah per dire al popolo ebraico: "Non siete soli. Non lo siete mai stati, e non lo sarete mai."

Celebro Hanukkah per ricordare a chi mi conosce che l'antisemitismo, in qualsiasi forma si presenti, va combattuto senza esitazione, senza compromessi, senza paura.

Chi oggi chiude gli occhi di fronte all'odio contro Israele, domani scoprirà che quel fuoco ha bruciato anche la sua casa. Lo diceva Oriana Fallaci, lo diceva Marco Pannella, e lo ripeto io: Israele è il nostro baluardo.

È la nostra prima linea di difesa. È la dimostrazione che libertà e dignità non sono doni del cielo, ma conquiste da proteggere con le unghie e con i denti.

Qualcuno mi dirà che sono retorica, che queste sono "esagerazioni". Lo dicevano anche negli anni '30, quando gli ebrei venivano insultati per strada, quando le loro attività venivano boicottate, quando la propaganda li dipingeva come nemici da combattere. E sappiamo tutti come è andata a finire.

Celebrare Hanukkah, per me, è questo: ricordare che la storia non si deve ripetere. Ricordare che chi resta in silenzio di fronte all'ingiustizia è colpevole tanto quanto chi la perpetra. Accendere una candela non cambierà il mondo. Ma è un modo per dire che io non mi piego. Che io sto dalla parte della luce, della libertà, e di un popolo che ha resistito contro tutto e contro tutti.

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